CLA - Università di Napoli

Università degli studi di Napoli Federico II

IL PIO MONTE DELLA MISERICORDIA E LE SETTE OPERE DI MISERICORDIA DI CARAVAGGIO

di Alessandra Apicella


Si usa denominare con il titolo di “opere della misericordia” quelle azioni del catechismo cattolico volte ad attività assistenziali che possono essere suddivise in due categorie, quelle di carattere spirituale e quelle di carattere corporale. L’istituzione di confraternite adibite a queste funzionalità fu molto tipica nel Medioevo, come forma di partecipazione attiva nel tessuto sociale della comunità. 
Una delle prime confraternite di questo tipo in Italia fu la Venerabile Arciconfraternita della Misericordia di Firenze, fondata intorno alla prima metà del Duecento, e ancora attiva oggi.
Attualmente in Italia le confraternite ancora attive sono quasi settecento e le loro attività di volontariato si sono specializzate sempre di più e adattate al passare dei secoli, come nel caso del Pio Monte della Misericordia a Napoli, una delle più antiche della città e che ancora oggi presta le sue opere di beneficenza per molte istituzioni locali. 
Tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento la città di Napoli vide un importante processo di urbanizzazione con un aumento notevole della popolazione proveniente dal resto del regno, che implicò delle importanti conseguenze nell’ambito della vita cittadina, come le continue epidemie dovute alle scarsissime condizioni igienico-sanitarie. 
In un periodo in cui da una parte la città partenopea si andava ad imporre come importante centro culturale e artistico, dall’altra parte la povertà dilagante e lo scarso interesse spagnolo nel gestire la situazione furono alla base della creazione del Pio Monte, voluto da sette giovani nobili, che erano soliti riunirsi presso l’Ospedale degli Incurabili per mettere in atto, a loro spese, delle opere di assistenza. 

 
 

L’atto di fondazione del Pio Monte risale all’aprile del 1602, seguito poi, l’anno successivo, dalla creazione dello statuto, approvato prima dal viceré e poi successivamente da papa Paolo V. Lo statuto serviva come mezzo di controllo e regolamentazione dei fondi e dell’elezione dei governatori dell’ente.
Era prevista una rotazione semestrale per i sette governatori impegnati nelle varie opere, al fine di assicurare la massima correttezza nell’utilizzo dei fondi.
I sette associati erano soliti riunirsi nella cosiddetta sala dell’Udienza dove venivano suddivisi i compiti utilizzando un tavolo di forma eptagonale che presentava su ogni lato il titolo di un’opera della misericordia, in modo tale che ognuno potesse assumere, alla fine, tutte le attività previste. I sette governatori, provenienti tutti dalla nobiltà napoletana, dovevano avere un’età superiore ai 25 anni e venivano eletti ogni tre anni e mezzo.

 

Consacrata alla Vergine Maria, madre di Misericordia, l’istituzione adottò come stemma la
rappresentazione di sette monti, indicanti le sette opere della misericordia corporale, sormontati dalla croce di Cristo, con due angeli e, nella parte bassa, il motto dell’ordine Fluent ad eum omnes gentes (Tutte le genti affluiscono ad esso), passo del profeta Isaia tratto dalla Bibbia.
Laici, indipendenti dall’autorità religiosa locale e aperti anche alla partecipazione femminile, non si limitarono ad opere assistenziali ma inaugurarono, con i propri fondi, anche importanti progetti architettonici, come un ospedale, un oratorio ed un istituto termale.

 
 

Attualmente la sede principale è in un palazzo storico che si affaccia su piazza Riario Sforza ed ingloba al suo interno anche la chiesa, dunque, priva di facciata. Il palazzo presenta come ingresso un porticato in piperno, a cinque arcate, con pilastri di ordine ionico, sormontati dal motto dell’ordine, inciso nell’architrave. Superato il portico, due grandi archi immettono nei due luoghi principali del Pio Monte, la chiesa ed il palazzo, dove, al primo piano, trovano sede gli uffici e l’imponente quadreria, composta sia da tele che da opere di arte applicata, oltre ai documenti di archivio ed i mobili storici originali del complesso, tra cui lo storico tavolo eptagonale, usato dai governatori. Una parte molto cospicua della collezione pittorica è legata alla produzione di Francesco De Mura, che decise di donare in eredità all’istituzione 180 tele per farle vendere all’asta e poter contribuire nel far fronte alle opere assistenziali del Pio Monte. 

 

Per quanto riguarda la chiesa, quella attuale si innesta su una precedente costruzione originale, di gran lunga più piccola e databile agli inizi del Seicento. Il progetto fu commissionato a Giovan Giacomo di Conforto, ed è a questo periodo che risalgono anche le commissioni per le tele decorative delle varie cappelle. Nel 1653 l’edificio fu demolito e ricostruito per poterlo riorganizzare in un progetto più ampio, grazie all’acquisto di alcuni stabili limitrofi. I lavori cominciarono nel 1658 ad opera dell’architetto Francesco Antonio Picchiatti, che optò per una pianta centrale ottagonale, con sette altari, ognuno per un’opera di misericordia. L’alternanza delle cappelle è evidenziata da lesene composite che reggono una medesima architrave su cui si innesta poi la cupola, divisa in spicchi e caratterizzata da un doppio livello di finestre ed un oculo, che permettono una grande luminosità nell’edificio. L’interno delle pareti è semplice nella sua decorazione in bianco e grigio, in modo tale da sottolineare il contrasto con le singole tele e la decorazione del pavimento, in marmi policromi e cotto. Le cappelle si alternano fra loro in quattro maggiori e quattro minori, che presentano nella parte superiore dei balconcini ai quali si accede tramite gli ambienti del primo piano del palazzo. La parete di ingresso presenta due acquasantiere molto particolari, ideate dallo stesso Picchiatti, che presentano forme insolite ed originali, frutto di un accostamento tra elementi di fantasia ed elementi naturali. Queste, come anche le altre produzioni scultoree, quali gli altari ed i fregi furono tutte eseguite da Andrea Falcone e Pietro Pelliccia.

 




Nella cappella principale si innalza maestosa, con i suoi quasi quattro metri di altezza, l’opera principale della chiesa, Le Sette Opere di Misericordia di Michelangelo Merisi detto Caravaggio. Considerata una delle opere più importanti del periodo napoletano di Caravaggio, influenzò moltissimo la produzione di quelli che furono poi definiti come caravaggeschi, artisti attenti alla produzione del maestro sia per diretto contatto con le opere che grazie a copie e derivazioni, intenzionati a rendere gli straordinari giochi di luce e contrasti tipici del Merisi. L’opera risale al primo soggiorno napoletano, intorno al 1607, e sintetizza per la prima volta tutte le opere della misericordia in un’unica rappresentazione brulicante di vita. Partendo dall’alto si osserva la Madonna col bambino e due angeli in volo sopra la scena, ambientata in un vicolo napoletano in modo da poter amplificare l’importanza del dato reale. Sulla destra, nel rappresentare l’episodio del mito di Pero che dà mangiare al padre Cimone in carcere, Caravaggio fonde insieme le due opere misericordiose di dar da mangiare agli affamati e visitare i carcerati. Al centro un religioso con una torcia, unica fonte di luce definita all’interno del quadro, illumina un monatto intento a trasportare un cadavere di cui si vedono solo i piedi illuminati dalla torcia, raffigurando, così, l’opera di misericordia di seppellire i morti. A sinistra, San Martino, identificabile grazie al cappello piumato, condivide il suo mantello con un paralitico, raffigurato nella parte bassa dell’opera, e di cui si può osservare, grazie alla luce fuori scena, proveniente da una sinistra indefinita, la straordinaria attenzione nella resa dei muscoli della schiena di ascendenza michelangiolesca. Anche in questo caso si tratta della raffigurazione di due opere, vestire gli ignudi e visitare gli infermi. A sinistra di San Martino si vedono due pellegrini accolti da un oste, a rappresentazione dell’opera ospitare i pellegrini; infine, più in alto la raffigurazione dell’episodio biblico di Sansone che beve dalla mascella di un asino identifica l’ultima opera di carità, dar da bere agli assetati. L’opera fu immediatamente apprezzata tanto dai committenti, che alcuni anni dopo redissero un verbale che ne vietava per sempre la vendita e le copie, tanto dalla cerchia pittorica partenopea, ancora legata ad una tendenza tardo manierista. Più drammatica e concitata rispetto alla produzione romana, in quanto priva di un centro focale prediletto, l’opera rende perfettamente la realtà brulicante di vita napoletana e la potenza dell’elemento e dello sguardo sul quotidiano.

 



L’attenzione per la componente naturalistica, la resa fortemente espressiva di pathos e di azione, la prediletta costruzione delle scene in diagonale ed il particolarissimo uso di luce e contrasti sono alcuni degli elementi demarcanti la produzione caravaggesca che saranno ripresi, in modo più o meno simile, dai successivi pittori che lo prediligeranno come modello. L’intera organizzazione pittorica della chiesa riprende la tematica delle opere della misericordia, attraverso numerosi rimandi da un’opera all’altra. Si possono annoverare due opere di Fabrizio Satafede, Cristo ospitato in casa di Marta e Maria e San Pietro che resuscita Tabithà, Deposizione di Luca Giordano, Liberazione di San Pietro del Battistello, San Paolino che libera lo schiavo di Giovan Bernardo Azzolino ed infine Il Buon Samaritano di Vincenzo Forlì.
In alcune di queste opere l’influenza caravaggesca è più presente, anche se sempre declinata secondo un gusto personale. È il caso del San Pietro di Santafede, dove nella calca dei personaggi rappresentati si possono individuare le opere di dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assettati e vestire gli ignudi, dove è evidente, nell’ultimo caso, il riferimento alla produzione caravaggesca. 
Con la Deposizione di Luca Giordano viene, invece, rappresentata, nel modo più emblematico, l’opera di misericordia di seppellire i morti. La particolare gamma cromatica di toni caldi, i colpi di luce e l’intensa partecipazione emotiva rendono quest’opera una delle più importanti della sua produzione; è possibile, infatti, percepirvi influssi fra loro molto diversi, dall’impostazione caravaggesca, all’influenza di Ribera e del barocco romano all’attenzione cromatica tipicamente veneziana. Infine, quella che risulta maggiormente influenzata dalla produzione del Merisi è la Liberazione di San Pietro del Battistello, dove l’azione di misericordia rappresentata è quella della visita ai carcerati, resa dall’angelo che si mostra a San Pietro in carcere per poi liberalo. La scena è calata in un’atmosfera buia dove si scorgono appena le ali dell’angelo, in contrapposizione con l’uomo di spalle in primo piano pienamente visibile, che cita il paralitico della tela del maestro lombardo. L’intera scena risente, però, anche della produzione raffaellesca delle stanze vaticane, di cui questa rappresentazione è un momento cardine nella Stanza di Eliodoro. 
Musealizzato nel 2005, l’intero complesso del Pio Monte continua ad essere attualmente attivo da un punto di vista di assistenza e rappresenta anche un importante polo culturale di spessore e di bellezza storica, architettonica e pittorica, rispettando i valori originari dei fondatori.